IVAN SCALFAROTTO PRESENTE CON SERGIO ROVASIO NELL'AULA DELLA CORTE
Pubblichiamo qui di seguito un importante intervento di Ivan Scalfarotto, Vice presidente dell’Assemblea nazionale del Pd che ieri, martedì 23 marzo, era insieme a Sergio Rovasio, Segretario di Certi Diritti, nell’aula della Corte Costituzionale.
IL RESTO A DOMANI…
di Ivan Scalfarotto
Qui il mio live tweeting stamattina dell’udienza davanti alla Corte Costituzionale. Nell’attesa della decisione della Consulta, voglio aggiungere qualche pensiero sulla giornata di oggi.
Il punto che più mi pare rilevante è che la portata assolutamente storica della giornata sia sfuggita a molti, e questo è un problema. Il silenzio della stampa che ha preceduto l’udienza di oggi, anche della stampa democratica e progressista (Repubblica è riuscita a silenziare il tema con la medesima precisione chirurgica usata per silenziare Ignazio Marino durante il congresso), è stato veramente impressionante. Ma anche dagli umori percepiti sulla rete e tra le persone ho avuto come la sensazione che il senso di sorda disperazione che qualche volta provano le persone che sono discriminate sia difficile da intuire per chi discriminato non è mai stato: come se ci fosse una difficoltà ad immedesimarsi, a comprendere, una specie di sordità emotiva rispetto al senso di frustrazione che colpisce chi è inibito rispetto ai suoi diritti per qualcosa che è, per una sua caratteristica sulla quale non ha nessun controllo. Questa mattina ho citato Rosa Parks nel mio primo tweet e qualcuno ha commentato chiedendomi cosa c’entrasse mai la lotta di emancipazione dei neri d’America con la giornata di oggi. La domanda stessa spiega come meglio non si potrebbe la sordità che intendo.
Qualcun altro, anche persone che tengo in massima stima, hanno stigmatizzato la mancanza di pragmatismo, l’irragionevolezza della richiesta di uguaglianza che oggi si è manifestata davanti alla Corte. Anche in questo caso mi pare incredibile come non si possa comprendere che col pragmatismo a camminare sul terreno accidentato dell’emancipazione e dei diritti non si va da nessuna parte. Parlare di pragmatismo il giorno stesso che un nero americano, sedendo alla Casa Bianca, impone una riforma sanitaria come quella che ha portato a casa il Presidente Obama dimostra che per alcune persone – anche non sprovvedute, e tra quelle che si sono spellate le mani il giorno dell’elezione di Obama – il principio, la conquista, il sogno applicato alla politica vanno bene forse per l’estero o per nuove frontiere che si pensa noi non abbiamo, come invece dolorosamente è il caso, da percorrere anche qui a casa nostra. La discriminazione che si consuma sulla pelle delle persone GLBT in Italia non ha nulla a che invidiare ad altri tipi di apartheid: è la negazione di diritti positivi, è una soggezione culturale, è l’esposizione ad abusi e violenze verbali e fisiche che non sono sufficientemente stigmatizzate dalla società e punite dalla legge.
Era per questo che eravamo tutti emozionatissimi stamattina. Francesco Bilotta, il vero padre di questa battaglia, camminava su e giù con la sua toga addosso come un padre – appunto – fuori dalla sala parto. Sergio Rovasio, il segretario di “Certi Diritti”, aveva le lacrime agli occhi. Le coppie che hanno adito i tribunali avevano l’aria, gli abiti e l’emozione che in genere ha chi è andato in municipio per sposarsi e non davanti a un tribunale per difendere le proprie ragioni. Sentire risuonare le parole, sentire descrivere le nostre famiglie, sentire parlare dei nostri affetti come fossero cose normali, giuste, scontate, già patrimonio di un paese migliore; udire parlare di noi in una casa della Repubblica in punto di diritto, in una logica europea, senza offese e turpiloqui, senza leghisti blateranti o fascisti con la bava alla bocca o prelati sottili dalle lingue taglienti o giornalisti televisivi genuflessi al potere; vedere accadere tutto questo nella solennità del Palazzo della Consulta, davanti alle toghe dei 15 giudici e ai pennacchi dei Carabinieri in alta uniforme è stata un’esperienza emotiva molto difficile da descrivere.
Sono cose che invece ha capito chiaramente il nostro collegio di difesa, che ha compiuto un’impresa memorabile. Vittorio Angiolini, Marilisa D’Amico, Vincenzo Zeno-Zencovich, Ileana Alesso, Massimo Clara hanno argomentato con forza oratoria, logica ferrea e grande equilibrio, costruendo sulla relazione dettagliatissima del Giudice Criscuolo che ha ripercorso punto per punto l’ordinanza del Tribunale di Venezia. I nostri avvocati erano chiaramente ben consapevoli dell’importanza vitale della vicenda dal punto di vista della democrazia e hanno tessuto una rete che non sappiamo quanto resisterà all’esame della Corte ma che certamente ha reso la questione degna del massimo rispetto. Un punto in particolare ha richiamato Angiolini: che su questi temi la Corte è di certo competente, perché in tema di diritti non si può restare appesi alle mutevoli maggioranze parlamentari e che l’espressione “società naturale fondata sul matrimonio” usata dal Costituente non era intesa certo a rafforzare il potere politico sulla nozione di famiglia. Quella parola “naturale” implica al contrario la responsabilità che la politica prenda atto e rispetti ciò che esiste come famiglia all’interno della società.
Se la mattinata di oggi fosse stata un film, l’Avvocata dello Stato che rappresentava in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri sarebbe stato uno di quei personaggi minori che poi però si rivelano fondamentali nella dinamica della narrazione. Seguendo la sua arringa ho avuto ad un certo punto la sensazione netta – ed è ovviamente una mia purissima illazione – che non fosse convinta nemmeno lei delle cose che diceva. Come dire: non trovavo che “chiudesse”, che desse la zampata, che puntasse al goal con decisione. Allora ho preso a guardarla più da vicino (zoom) e ho visto una giovane donna sui 40 anni, con ogni probabilità molto brillante intellettualmente, e ho pensato che non fosse poi così improbabile che in cuor suo non fosse nemmeno tanto felice di dover fare la parte di quella che negava situazioni che nella sua vita, chissà, magari riconosce tutti i giorni. Magari ha amici gay, come tutte le persone di quarant’anni che vivono nelle grandi città. Vabbè, magari mi sono solo fatto un film e ho capito che a fare l’Avvocato dello Stato qualche volta ci si trova nei casini.
Ora aspettiamo la decisione, che è già slittata a domani. Comunque la Corte deciderà noi tutti la rispetteremo con la deferenza che si deve al massimo organo di garanzia della Repubblica. E comunque deciderà ci darà argomenti da dibattere. Io credo che oggi sia cominciato un cammino inarrestabile, credo che finalmente la comunità GLBT italiana abbia trovato il bandolo della matassa e che per la prima volta nella storia siamo usciti da un’inconcludenza, piena di buona volontà, ma che inconcludente oggettivamente è stata. Abbiamo finalmente dato piena dignità istituzionale alla questione, l’abbiamo sollevata di livello, l’abbiamo ispirata con una strategia perfetta, le abbiamo dato forza tecnica prima ancora che politica e l’abbiamo poi affidata per la discussione a gente (gente eterosessuale, peraltro, facendo così finalmente uscire la questione dai nostri confini) di eccellenza assoluta che l’ha difesa con passione come fosse propria. Anzi, “con orgoglio”, come ha detto l’Avvocata Alesso stasera all’incontro con Arcigay a Milano, inconsapevole credo di aver scelto proprio questa parola così nostra e così piena di significati storici per la comunità. Se andrà bene avremo recuperato i v
ent’anni di ritardo che abbiamo sulla questione gay rispetto al resto d’Europa, e se andrà male dovremo continuare questo cammino sapendo che la Corte Costituzionale spesso fa crescere il suo pensiero in pronunzie successive. Già altri due giudici (Ferrara e Firenze) hanno adito la Corte, altri ne verranno man mano che altre coppie andranno nei comuni a chiedere di sposarsi dimostrando così che c’è un bisogno e che le persone non hanno paura di esprimerlo e di chiederne la tutela davanti alla legge.
Fatemi dire anche un’ultima cosa. Questa sera a Milano, alla serata di Arcigay, Marilisa D’Amico e Vittorio Angelini hanno parlato spiegando ad una folla appassionata ed attenta tutti i dettagli della vicenda. Rispettando l’organizzazione padrona di casa non si è fatto menzione del fatto che entrambi sono militanti del Partito Democratico e che Vittorio è candidato alle regionali qui a Milano. Ecco, io invece sono stato orgoglioso di loro e, attraverso loro, del mio Partito. Vederli all’opera, sentirli parlare, apprezzarne la sapienza tecnica e il coraggio civile è stato vedere in azione il PD di cui sono felice di far parte: un partito fatto di persone eccellenti, coraggiose, aperte al dialogo, disposte a esplorare senza paraocchi ideologici aree e problemi nuovi della società, disponibili a mettere in comune i propri talenti (Vittorio era con me in aereo alle 6.30 questa mattina e quando sono andato via dalla riunione a mezzanotte era ancora lì che rispondeva alle domande degli intervenuti). Ecco, stasera pensavo che mi piacerebbe che tutti quelli che mi hanno indefessamente chiesto per due anni come facevo a stare nel partito della Binetti (un partito che per questo motivo non potevano votare) mi chiedessero ora quanto orgoglioso io sia di stare nel partito della D’Amico e di Angiolini (un partito per il quale votare, tra qualche giorno, e in cui credere per il futuro). Moltissimo, sarebbe la risposta.
Ora vado a dormire. Il resto a domani.