La Tunisia non è un “Paese Sicuro”

La Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un luogo sicuro di sbarco per le persone soccorse in mare.

Questo il contenuto di una Dichiarazione congiunta delle organizzazioni della società civile di ricerca e soccorso in mare e delle reti di solidarietà verso le persone migranti sottoscritto da associazioni di diverse nazioni, anche tunisine, quali EMERGENCY, EuroMed Rights, Melting Pot Europe Project, Campagna LasciateCIEntrare, firmato anche da Certi diritti.

Attacchi razzisti contro le persone di colore e repressione della società civile tunisina sono ormai noti e documentati: gli africani neri non subiscono solo i pogrom da parte di gruppi di persone armate, ma anche forme di violenza istituzionale e vengono schedati per motivi razziali, arrestati e detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza. Alcuni sono stati oggetto di sparizioni forzate; tra le persone arrestate, taluni hanno riferito di aver subito torture e maltrattamenti. Molti elementi erano già sufficienti per contestare la sicurezza della Tunisia per i suoi stessi cittadini, affermando che non è un Paese di origine sicuro soprattutto per alcune categorie come le persone LGBTI. Ciò nonostante, le espulsioni da parte dell’Italia dei cittadini tunisini che non hanno accesso alla protezione internazionale è in aumento e alla luce delle violenze documentate, anche la sicurezza della Tunisia come Paese terzo appare profondamente compromessa.

Di conseguenza, non dovrebbe essere permesso lo sbarco in Tunisia delle persone intercettate in mare durante il tentativo di fuggire dal Paese. Secondo la Convenzione SAR (Search And Rescue), un soccorso è definito come “una operazione volta a soccorrere le persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e condurle presso un luogo sicuro di sbarco”. Nella risoluzione MSC 167(78) dell’Organizzazione Marittima Internazionale, un luogo sicuro di sbarco è ulteriormente definito come “un luogo in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui le loro necessità fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) possono essere soddisfatte”. La Tunisia non ha un sistema nazionale di asilo, e le persone soccorse in mare, tunisine e non, sono altamente esposte al rischio di subire violazioni dei diritti umani, detenzione e respingimenti forzati.

Lo sbarco in Tunisia dei naufraghi e delle persone intercettate in mare viola il diritto internazionale in materia di diritti umani e il diritto del mare.

Per oltre un decennio, l’UE e i suoi Stati membri hanno sostenuto politicamente, finanziato ed equipaggiato lo Stato tunisino affinché sorvegliasse i propri confini e contenesse la migrazione verso l’Europa. L’obiettivo è chiaro: impedire l’arrivo dei migranti in Europa, ad ogni costo.

Ciò si realizza attraverso diversi accordi finalizzati alla “gestione congiunta dei fenomeni migratori”, alla sorveglianza delle frontiere e al rimpatrio dei cittadini tunisini. Tra il 2016 e il 2020, sono stati stanziati per la Tunisia oltre 37 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario e altri sono in arrivo. In questo modo, l’UE supporta anche la Guardia costiera tunisina, un attore le cui violazioni dei diritti umani contro le persone in movimento sono ben documentate. Negli ultimi anni, il numero di intercettazioni e di respingimenti da parte della Guardia costiera tunisina verso la Tunisia è aumentato enormemente. Solo nel primo trimestre del 2023, a 14.963 persone è stato impedito di lasciare la Tunisia via mare e sono state violentemente riportate indietro contro la loro volontà per conto dell’UE. Già nel dicembre 2022, più di cinquanta associazioni avevano denunciato la violenza della Guardia Costiera tunisina: “Aggressioni verso le persone con bastoni, spari di colpi in aria o in direzione del motore, attacchi con coltelli, manovre pericolose per tentare di affondare le imbarcazioni, richieste denaro in cambio del soccorso…”. Questi attacchi si sono intensificati negli ultimi mesi, prendendo di mira sia persone migranti tunisine che non tunisine. Inoltre, è stato recentemente documentato come la Guardia costiera tunisina sottragga i motori alle imbarcazioni che tentano di fuggire dal Paese, lasciando le persone a bordo alla deriva, provocandone la morte…

Così Gabriella Friso, membro del Consiglio Direttivo di Certi Diritti:

Anche in questo caso, come con la Libia, le politiche europee ed italiane, alla ricerca di un in realtà impossibile arresto delle partenze di migranti, stipulano accordi con stati che violano palesemente i diritti umani.

Il Governo italiano, aumentando le pene per gli scafisti è convinto di cambiare le cose, ma quando mai si è visto che i veri trafficanti di esseri umani mettono a repentaglio le loro vite sulle barche cariche di migranti?

Il Ministero degli affari esteri italiano con un decreto reiterato dichiara che la Tunisia sia un Paese di origine sicuro: ciò comporta l’obbligo per ogni tunisino di provare la sua eventuale persecuzione o il danno grave subito, altrimenti le domande di protezione internazionale sono rigettate dalle commissioni territoriali.

Qualche giorno fa il Consiglio dei Ministri ha deliberato la proclamazione dello stato di emergenza nazionale sull’immigrazione per sei mesi, con nomina a commissario straordinario del prefetto capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. La vera emergenza è quella di noi italiani che dal 1990, anno di approvazione della prima legge sull’immigrazione, non capiamo che il fenomeno migratorio è strutturale e crescerà; l’Italia sarà sempre più il fulcro di questo fenomeno per l’elementare ragione (che nessuna maggioranza può cambiare) che l’Italia sta al centro del Mediterraneo, mare navigabile. Da allora il nostro Paese sottostima i bisogni di formazione, di personale, di strutture, di posti e di una politica organica e NON EMERGENZIALE in materia.

L’annunciato ridimensionamento della protezione speciale farà aumentare il numero degli irregolari fornendo “nuove braccia” alla delinquenza organizzata, con l’esclusione di fatto dal sistema di asilo delle persone più vulnerabili, quali le persone LGBTI, le vittime di tratta o grave sfruttamento lavorativo e quelle soggette a violenza di genere, che non verranno neppure intercettate in spregio della nostra Costituzione.

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