Non serve predicare al vento contro la prostituzione

Di Maria Gigliola Toniollo, Ufficio Nuovi Diritti della CGIL Nazionale e direttivo dell’associazione radicale Certi Diritti.

Guardando all’Europa e anche molto oltre, la questione prostituzione in questi anni è stata affrontata dagli Stati in modo assai diverso per impianto legislativo, filosofia, impatto, effetti ottenuti e ricadute sociali: si va dai neo-proibizionisti svedesi che criminalizzano il cliente, ai neo-regolamentisti olandesi che riconoscono il lavoro sessuale, al nulla totale, carico di ignoranza, di ipocrisia, di approssimazione, di saccenza, di teste sotto la sabbia. C’è chi invoca ordine, ignorando il fallimento delle pratiche repressive che ritorcono i loro effetti solo contro le persone più deboli, chi colpevolizza i governi accusandoli di mancati interventi a sostegno di proposte proibizioniste, chi lancia crociate contro la legalizzazione-depenalizzazione, considerandola un arretramento della lotta contro la violenza alle donne, chi più o meno abilmente ama confondere i piani.  

C’è poi uno Stato, il nostro, la cui Agenzia delle Entrate addotta dall’oggi al domani, senza preavviso e senza discussione alcuna, il principio che la prostituzione sia una prestazione di servizi e un po’ ovunque in Italia è capitato che, incrociando i dati fra spese per beni di lusso e acquisti di case, si sia valutato il potenziale contributivo di donne che all’accertamento hanno ammesso di aver guadagnato prostituendosi e alle quali è stato chiesto il pagamento dell’Irpef, più le sanzioni per non aver dichiarato i loro redditi. A Bologna a una escort è stato inviato un invito di accertamento per il 2006, in cui si chiede non solo di pagare l’Irpef, ma anche l’Iva e i contributi all’Inps. Forse l’Agenzia delle Entrate si sta sostituendo al Parlamento, riconoscendo la prostituzione come lavoro e fonte di redditto tassabile, il tutto avallato anche dalla Cassazione in un paio di sentenze. Giusto, più che giusto, le tasse devono sempre e da tutti essere pagate, allora però parliamo anche di dignità, di riconoscimento e di diritti della persona. Germania, Olanda e Svizzera, i Paesi europei che hanno legalizzato il lavoro sessuale, hanno studiato per anni e discusso con i gruppi di interesse valutando tutti gli aspetti, prima di sperimentare leggi e regolamenti, il che ha portato a una forte diminuzione della conflittualità sociale e degli abusi criminali.

Quando si affronta il tema, quello che continua a stupire abbastanza amaramente è che tanto poco si sappia riconoscere autodeterminazione alle persone, il fatto che non tutte le volte prostitute e prostituti sono vittime, la netta distinzione tra l’abiezione della schiavitù e di certa orribile violenza, magari sui minori, e il sex-work inteso come rapporto concordato tra persone maggiorenni e consenzienti.

Lavoratrici e lavoratori del sesso non sono tutte, sempre e solo vittime anzi, e questo vale anche per le vittime vere, quando chi si prostituisce è costretto a nascondersi, tanto più resta in balia della criminalità o dell’arroganza, diventando irraggiungibile per ogni tipo di assistenza. Ci sono  ragazze che lavorano in strada e che, oltre che dagli sfruttatori, sono prese di mira dalle polizie che le multano a causa delle ordinanze dei sindaci, persone che vengono identificate come irregolari e sbattute nei CIE, trattenute in commissariato anche per notti intere, anche quando sono italiane.

Tutto ciò lo sappiamo e lavoriamo per combatterlo con tutti i mezzi possibili. Ci troviamo invece oggi ancora a confondere i termini, a parlare soltanto di generalizzata schiavitù, di lesione all’uguaglianza tra i sessi, di prostituzione sempre come espressione della violenza maschile, ad ascoltare la trita favola dell’abolizionismo.  Per questo ci stupisce relativamente leggere “La prostituzione ai tempi dello zoning* di Elvira Reale, un articolo come tanti altri, apparso recentemente su “Zero violenza donne”, c’è infatti chi ancora ritiene che la prostituzione non debba esistere, punto e basta, e persino che le prostitute e i prostituti che vogliono difendere scelte personali, altro non siano che poveri decerebrati che in qualche modo “se la raccontano” per non ammettere la loro pena…

Vogliamo contestare nettamente certe affermazioni e vogliamo anche che, invece di girarsi dall’altra parte a teorizzare soluzioni improbabili, si rifletta più profondamente su quanto ancora una volta è messo sotto accusa, insistendo sulla nostra idea di “zoning”: un sistema flessibile, che abbia i requisiti per proteggere la salute e l’integrità fisica di chi vi accede, in luoghi concordati fra i rappresentanti dei comuni e le organizzazioni di prostitute e prostituti, piccoli territori che non sono i tanto citati “quartieri a luci rosse” ne’ tanto meno le “case chiuse” e che potrebbero essere minimamente attrezzati e resi sicuri. Perché allora “incubo di apartheid, ghetti, riserve, serragli, muri, zoo”, ma di che cosa stiamo parlando? La mappatura dei quartieri a Mestre, organizzata con un accordo tra le prostitute, i prostituti e il comune, è apartheid?

Non serve predicare al vento contro la prostituzione, nel nostro Paese poco o niente si fa per chi voglia liberarsi dalla coazione o semplicemente cambiare la propria vita. La via dell’inserimento sociale è lunga e intricata e tutelare e promuovere i diritti delle vere vittime è il più efficace contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono tratta e sfruttamento. Lo ripetiamo anche in questa sede: i servizi da mettere in campo sono tanti e tutti urgenti, interventi di promozione della salute, unità di strada, sportelli di ascolto, mediazione sociale e dei conflitti, accoglienza, consulenza e assistenza legale, corsi di formazione professionale, inserimenti lavorativi, ricerche, pubblicazioni, sensibilizzazione, lavoro di rete ecc. tutte politiche che mettono al centro la tutela e la promozione dei diritti umani.

Una volta affrontato e risolto tutto questo, allora sì potremo anche sfogare certe brame salottiere di discutere sul niente.

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