L'Africa e l'omofobia. In ricordo di David Kato Kisule
Il desiderio di David Kato Kisule era cambiare le cose nel suo Paese. Era un attivista per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans (LGBT) in Uganda. Per questo un anno fa è stato assassinato. Di Dany Carnassale per ilmanifesto.it
A chi gli chiedeva perchè non fuggisse all’estero, David Kato Kisule amava rispondere che il suo desiderio era vivere e provare a cambiare le cose nel suo Paese. Era un attivista per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans (LGBT) in Uganda. Per questa ragione aveva costituito nel 2004 il Sexual Minorities of Uganda (SMUG). Ma la sua battaglia prosegue anche dopo il suo assassinio.
Il 26 Gennaio 2012 è l’anniversario della sua scomparsa. Sono previste molte manifestazioni in tutto il mondo per ricordare lo storico attivista. In particolare, a Kampala ci sarà una cerimonia a cui prenderanno parte attivisti LGBT e rappresentanti di ONG. In Italia, l’associazione Certi Diritti organizzerà una trasmissione radiofonica intervistando John Francis Onyango, che era stato l’avvocato di David Kato Kisule. Mentre a Londra il prossimo 29 Gennaio verrà conferito all’attivista giamaicano Maurice Tomlinson un premio di 10mila dollari che porta il nome dello storico attivista ugandese.
David Kato Kisule era in Uganda alla testa della lotta per respingere la “legge Bahati”, una proposta che proponeva l’introduzione della pena di morte per le persone LGBT ugandesi. Nei mesi precedenti, a fine 2010, il clima si era infuocato a causa della diffusione dettagliata dei nomi ed indirizzi di cento omosessuali locali ad opera del tabloid “Rolling Stone”, in seguito condannato alla chiusura ed ad un ingente risarcimento.
David Kato Kisule però non riuscì a beneficiarne, perchè viene assassinato a casa sua il 26 Gennaio 2011 in circostanze ancora non chiare. Dopo il tragico evento molte associazioni per i diritti umani iniziano un’imponente mobilitazione e il 17 Febbraio 2011 riescono ad ottenere l’approvazione di una risoluzione del Parlamento Europeo che chiede al governo ugandese di ritirare la proposta di legge, auspica la protezione internazionale per i richiedenti asilo LGBT ugandesi e propone l’introduzione di sanzioni internazionali all’Uganda.
Le pressioni hanno contribuito al ritiro della “legge Bahati”. Molti hanno festeggiato questo evento come una vittoria, ma di fatto la proposta è stata soltanto accantonata. A far la voce grossa ci hanno pensano anche le condanne giunte da Hillary Clinton, la minaccia del taglio dei finanziamenti proposto dal primo ministro britannico David Cameron.
L’opinione più diffusa vede questo profondo odio verso l’omosessualità come qualcosa che da sempre pervade la cultura ugandese. Chi la pensa così si stupirebbe nel sapere che nel 1886 il re ugandese Mwanga uccise alcuni dei suoi servi perchè non volevano più avere rapporti sessuali con lui dopo essersi convertiti al cristianesimo, dato che la nuova religione lo proibiva.
Nel 1950, in pieno dominio coloniale britannico, fu introdotto un articolo nel Codice Penale Ugandese per punire i comportamenti omoerotici. Se un tempo si pensava che i rapporti omosessuali fossero una prerogativa di questi “selvaggi”, oggi invece l’opinione pubblica ugandese li considera una piaga introdotta dagli europei. Cosa è accaduto negli ultimi anni?
In un Paese duramente colpito da guerre civili, dall’aumento dei contagiati di AIDS e dal fenomeno delle violenze sessuali, le persone LGBT sembrano fungere molto bene da capro espiatorio per una serie di problemi sociali ed economici. Ad eleggerli come bersaglio prediletto hanno contribuito largamente le chiese evangeliche, diffusesi capillarmente negli ultimi decenni grazie ad ingenti finanziamenti provenienti dagli Stati Uniti e all’influenza crescente sul governo (composto per un terzo da cristiani evangelici). Lottano contro quelle che vengono considerate “piaghe sociali” (come l’omosessualità, la pedofilia, l’alcolismo) e riescono a far presa non soltanto tra i poveri e i giovani disoccupati, ma anche tra i ceti medio-alti. David Kato Kisule e altri attivisti ugandesi hanno combattuto contro l’idea che gli omosessuali siano dei pedofili, idea largamente diffusa a livello sociale e anche in ambiti colti come le università.
Questo clima ha portato a fare i conti con una realtà fino ad oggi negata (l’esistenza di persone LGBT in Uganda) e dall’altro ha mostrato agli Stati Occidentali come l’omofobia non è un’esclusiva dei Paesi a maggioranza musulmana. In l’Uganda infatti circa l’80% della popolazione è di religione cristiana.
Nell’anniversario dell’assassinio di Kato si discute della proposta Cameron di tagliare gli aiuti ai paesi africani che perseguitano gli LGBT. Secondo quanto sostiene il Reverendo Jide Macauley, anglo nigeriano progay : «tagliare gli aiuti ai Paesi che hanno leggi anti-gay colpirà anche altri gruppi emarginati […]. Invece di continuare a finanziare direttamente quelli che perseguitano e criminalizzano i gay, bisognerebbe destinare i fondi a quelle organizzazioni e a quei gruppi che sostengono e attuano i diritti umani» (Fonte: Behind The Mask, sito lgbt africano).
La posizione di Macauley non è isolata, ma condivisa da una serie di esperti ed associazioni che lavorano in Africa. Infatti lo scorso luglio è stata inoltrata una richiesta al premier Cameron di tornare sui propri passi, firmata da ben 53 associazioni LGBT e umanitarie, comprese ILGHRC Africa e Pan ILGA Africa. (“ La decisione di tagliare gli aiuti ignora il ruolo delle persone LGBTI e del più ampio movimento per la giustizia sociale nel continente e crea il rischio reale di una reazione grave contro le persone LGBT”. Occorre piuttosto finanziare progetti inclusivi.) E il vescovo anglicano ugandese Senjonyo continua ad accogliere e proteggere i gay a Kampala nonostante le persecuzioni.