Cosa chiediamo ai sindaci e ai presidenti delle province in materia di diritti lgbt e lotta alle discriminazioni

L’Associazione radicale Certi Diritti ha elaborato una agenda di proposte da sottoporre agli eletti nelle amministrazioni locali (Comuni e Province) in materia di lotta all’omofobia e piena parità delle persone lgbt come singoli e come famiglie.

Noi crediamo che prima di qualunque specifica richiesta si debba lavorare su obiettivi di medio e lungo periodo, per far si che l’azione riformatrice che si intende intraprendere metta radici e possa svilupparsi nel futuro, a prescindere dal colore politico delle Giunte, così come avviene in tutta Europa.

Questa agenda può essere un terreno di confronto e lavoro comune (concreto e non ideologico) con le altre organizzazioni lgbt attive in Italia, e ci rendiamo disponibili (a livello locale come a livello nazionale) per discuterne, approfondire, condividere.

Ci teniamo a sottolineare che questa proposta non elenca in modo esaustivo tutte le singole questioni che riguardano i diritti e l’uguaglianza sostanziale (non solo formale) delle persone gay lesbiche e transgender in Italia, perché si limita all’ambito delle competenze degli Enti Locali e si affida alla conoscenza ed alla creatività delle singole associazioni e dei singoli attivisti e attiviste che sapranno valorizzare particolari contesti locali o temi da affrontare o richieste da presentare nei confronti delle proprie amministrazioni di riferimento.

Per definire l’agenda che segue abbiamo tenuto conto innanzitutto di questi due criteri:

– rimanere rigidamente nell’ambito delle competenze attribuite per legge a comuni e province (le fonti principali sono gli articoli 116, 117 e 118 della costituzione, i singoli statuti delle istituzioni locali, oltre che ovviamente eventuali leggi specifiche di trasferimento);
– mirare ad iniziative di medio e lungo periodo, che incidano sulla struttura e dell’amministrazione e delle sue politiche, in modo significativo e duraturo (per esempio evitare e/o ridurre al minimo possibile le consulenze specifiche su queste materie, o le iniziative spot).

L’agenda si costruire su 9 temi che costituiscono altrettanti spunti di ulteriore lavoro ed approfondimento sulla base del contesto locale (vincoli ed opportunità di tipo politico ed amministrativo specifici ma anche esperienze pregresse del movimento):

1. chiedere l’inserimento nello statuto dell’Ente del principio di non discriminazione, anche associandolo a quello di pari opportunità sicuramente già esistente. E’ da preferire la dizione precisa di “principio di non discriminazione” ad ogni altra formulazione, perché essa garantisce la possibilità di intervenire anche nei confronti delle discriminazioni contro persone lgbt senza alcuna ambiguità lessicale, in quanto a livello europeo è ormai acquisito che il principio di non discriminazione si estende alle persone lgbt ed alle loro famiglie (si vedano l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e l’art. 19 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea);

2. chiedere l’istituzione di un servizio ad hoc dedicato alle questioni lgbt. Nel caso di comuni e province piccoli o laddove non ci siano le condizioni politiche-istituzionali-economiche per richiedere l’istituzione di un tale servizio può essere una buona alternativa quella di chiedere l’istituzione (o il potenziamento) di un servizio e/o settore specificatamente dedicato alla “prevenzione e contrasto di ogni forma di discriminazione e di assistenza alle vittime delle stesse” o alle “pari opportunità per tutti e tutte” (altra formulazione di natura europea). In questo modo il servizio sarà rivolto a tutte le persone che rientrano in almeno una delle sei aree di potenziale discriminazione previste dall’articolo 19 del TFEU (genere, religione e credo personale, disabilità, età, origine etnica e nazionale, orientamento sessuale), e può essere associato a servizi già esistenti come quello delle pari opportunità, o a quelli per l’inclusione sociale, ecc.. Ovviamente il Servizio deve avere adeguata dotazione organica e di risorse economiche. Il parametro può essere quello del Comune di Torino dove, in una Città di quasi un milione di abitanti, il servizio lgbt è dotato di 3 persone (dipendenti a tempo pieno) completamente dedicate al tema. Sarebbe opportuno ed importante che a queste strutture siano assegnate risorse di personale non in regime di consulenza, perché poter contare su personale strutturato significa garantire nel tempo tali strutture;

3. chiedere l’avvio di un programma di intervento per la prevenzione e il contrasto dell’omofobia e l’assistenza alle vittime di atti di violenza o maltrattamento. Anche questa attività può essere associata o far parte di un programma più generale di lotta ai reati di odio, con l’accortezza che sia sempre menzionata e messa in evidenza, e non nascosta, la parola omofobia.

In questo ambito gli spunti di intervento possono essere molteplici, basta leggere il Libro Bianco prodotto dal Progetto europeo Ahead (esistente anche in italiano^): tra i principali si ricordano le attività di formazione, aggiornamento e sensibilizzazione dei servizi comunali a più forte impatto sociale (vigili urbani, maestre e servizi educativi, servizi sociali) o nei confronti delle popolazioni target (iniziative mirate verso le comunità di migranti, verso l’associazionismo giovanile, la scuola, ecc.). Anche queste attività possono essere ricomprese nell’ambito di programmi più ampi, a condizione che sia esplicito il riferimento alla lotta all’omofobia;

4. chiedere l’adesione alla Rete RE.A.DY, Rete Nazionale delle pubbliche amministrazioni anti-discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere (per la documentazione relativa si rinvia al sito: www.comune.torino.it/politichedigenere/lgbt/lgbt_reti/lgbt_ready/index.shtml

5. chiedere la definizione di un programma a favore di tutte le famiglie laddove non ne esista uno, o l’aggiornamento di quello esistente per tutte le forme di famiglia. Connessa a questa richiesta c’è la questione dell’utilizzo dello strumento del Registro e/o del certificato di famiglia rilasciato ai sensi della legge anagrafica vigente^^. Entrambi possono essere strumenti adeguati per l’ottenimento di specifici diritti e/o servizi, a condizione che prima della scelta dello strumento si faccia una ricognizione di tutti gli ambiti di competenza dell’ente entro i quali le disparità o le vere e proprie discriminazioni possono manifestarsi. Il riconoscimento dei diritti delle famiglie tra persone dello stesso sesso comporta automaticamente il riconoscimento di doveri a loro carico. Per esempio l’iscrizione al registro o il rilascio dello stato di famiglia sulla base dell’articolo 4 del Regolamento anagrafico possono produrre l’accesso a benefici previsti per le coppie eterosessuali sposate ( condizione di favore per l’accesso a servizi comunali e provinciali) ma anche l’estensione del sistema di doveri che alcuni comuni prevedono, per esempio nel caso dell’accesso ai servizi educativi (asili nido e scuole materne) o ai servizi assistenziali (accesso a contributi economici, ecc.).

6. chiedere di essere coinvolti, anche indirettamente ed anche informalmente, nell’ambito della istituzione dei CUG (Comitati Unici di Garanzia, ex art. 21 Legge 183/2010) perché quella è la strada per incidere sulle politiche del personale e di promuovere “diversity management” all’interno della pubblica amministrazione;

7. chiedere che il Comune attivi iniziative di consultazione stabile e formale con le organizzazioni lgbt. Questo tipo di consultazioni potrebbero essere facilitate, e semplificate, se le realtà lgbt costituissero a livello locale forme di coordinamento, anche solo al fine di facilitare comunicazioni e relazioni con le
pubbliche amministrazioni. In altre parole i coordinamenti non devono necessariamente essere organi di rappresentanza, ma strutture leggere per facilitare condivisione e coinvolgimento tra tutte le realtà lgbt locali, magari coinvolgendo anche altre associazioni non esclusivamente lgbt ma interessate al tema;

8. le organizzazioni lgbt possono svolgere un ruolo importante a livello locale di stimolo e sviluppo nei confronti della costituzioni di reti territoriali di lotta alle discriminazioni. Da questo punto di vista la richiesta di attivare forme di collaborazione con UNAR (organismo della Presidenza del Consiglio) può essere un ottimo viatico per organizzare iniziative di lungo respiro entro le quali inserire anche le specifiche iniziative lgbt. Questo significa imparare a lavorare insieme alle altre organizzazioni (donne, persone con disabilità, associazioni che si occupano di libertà religiosa o di libertà dalla religione, associazioni che si occupano di diritti dei migranti, associazioni che si occupano dei diritti dei giovani e delle persone anziane). Questo significa anche promuovere azioni di mainstreaming perché il principio di non discriminazione e quello di pari opportunità sia trasversali a tutta l’attività della pubblica amministrazione in ogni ambito di competenza. Ovvero le pari opportunità o la lotta alle discriminazioni non le fanno solo gli assessori alle pari opportunità o al welfare, ma tutti e tutte.

9. chiedere e co-progettare iniziative specifiche di promozione della salute e prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, oltre che di informazione ed educazione ad una sessualità responsabile, per la popolazione lgbt. Questa materia non fa parte delle competenze dirette degli EELL, ma può essere sostenuta dagli stessi.

Roma, 1 luglio 2011

^ http://www.comune.torino.it/politichedigenere/lgbt/ahead/ahead_pubblicazioni/index.shtml
^^ D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”. art. 4, comma 1 “ Famiglia anagrafica. 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.”

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