Milano, sfila il Gaypride: anche noi vogliamo il matrimonio

La comunità LGBT sperava in un incontro con Giuliano Pisapia. Le istituzioni erano comunque presenti con l’assessore Maiorino e soprattutto per la prima volta con il patrocinio del Comune all’evento. “Le precedenti amministrazioni, soprattutto Letizia Moratti, non ci ricevevano neppure a Palazzo Marino”. Da ‘Il fatto quotidiano’ del 26 giugno 2011.

Alla fine non c’è stato l’incontro con il sindaco, come molti della comunità LGBT (lesbica, gay, bisex e transessuale) speravano. Giuliano Pisapia non è arrivato al corteo del Pride, né si è mostrato dalla finestre di Palazzo Marino, al passaggio della manifestazione. “Ma noi siamo comunque contenti – spiega Marco Mori, presidente dell’Arcigay di Milano -. Abbiamo il patrocinio del Comune. Con noi in corteo c’è l’assessore alle politiche sociali e alle famiglie Pierfrancesco Majorino. Si apre una fase nuova nella storia della comunità omosessuale”.

Oltre 50mila persone hanno partecipato al Gaypride milanese, il primo della storia che porta in calce il simbolo del Comune di Milano. Può apparire strano che la città italiana con la comunità gay più numerosa e organizzata abbia aspettato il 2011 per ottenere un canale di dialogo con le istituzioni. “Ma è così – ricorda l’ex-presidente Arcigay Franco Grillini -. Le precedenti amministrazioni, soprattutto Letizia Moratti, non ci ricevevano neppure a Palazzo Marino”. L’attuale giunta annuncia un cambio di rotta. “Il registro delle unioni civili è il primo passo verso il riconoscimento dei diritti – spiega Majorino -. Ma si tratta solo dell’inizio di una strada ben più lunga”.

In effetti il corteo di Milano si è svolto a poche ore dal voto sui matrimoni gay nello Stato di New York. Un evento storico, 42 anni dopo gli incidenti di Stonewall e la nascita del moderno movimento omosessuale. Il successo di New York si allarga alle strade di Milano e diventa l’orizzonte dei gay e delle lesbiche italiani. “Canada, Svezia, Spagna. Italia, quando?”, recita un cartello ben in vista su un carro, e l’idea che il vero obiettivo non siano più le unioni civili, ma i matrimoni, come per gli eterosessuali, pervade gli organizzatori del corteo e le migliaia di gay, lesbiche, trans che hanno marciato a Milano. “Per quelli della nostra generazione l’idea del matrimonio omosessuale è assolutamente normale”, dicono due ragazze di 17 anni, che fanno parte del gruppo di ragazzi nati dopo il 1990, che quest’anno hanno aperto il corteo.

Il senso di una normalità lentamente ma saldamente raggiunta lo si è percepito del resto anche nelle centinaia di bandierine arcobaleno sventolanti su corso Buenos Aires, da dove è partita la manifestazione (un regalo dei commercianti della zona, l’Ascobaires, un tempo serbatoio di voti delle giunte di centro-destra) e nella folla di milanesi che si è disposta lungo le strade al passaggio del corteo, o che lo ha salutato dai palazzi del centro (i balconi più affollati, quelli dei marchi del quadrilatero della moda). Il corteo si è dipanato lentamente, da piazza Lima sino al Castello Sforzesco, in una giornata rovente (temperature oltre i 30 gradi), in cui la città è apparsa deserta, raccolta unicamente attorno al serpente lungo e colorato del Pride.

In corteo c’erano i carri, quello di Cenerentola (perché l’Italia è la “Cinderella of Europe” in tema di diritti gay) e quello ispirato all’antico Egitto. C’erano i travestimenti, le pailettes, il cerone e i tacchi, le canzoni di Raffaella Carrà e dei Queens – tutto il cotè ludico e tradizionale dei Pride (anche questo un lascito dei primi pride newyorkesi, che volevano che “l’orgoglio omosessuale” fosse un fatto di vita, di passioni e sentimenti, e non di pure rivendicazioni politiche). E c’erano le richieste del movimento, che sono state lette simbolicamente proprio in piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino: registro delle coppie di fatto (per ora), istituzione di sportelli contro l’omofobia e la transfobia, potenziamento dell’informazione sulle malattie trasmettibili sessualmente, la formazione specifica di dipendenti comunali su questi temi.

Ma tra le migliaia in corte c’era, soprattutto, il senso che per la prima volta dopo decenni di sconfitte, stop, arretramenti, il movimento LGBT sperimenta un primo tangibile successo istituzionale, che segue l’evoluzione dei costumi e della morale comune. “Milano siamo anche noi”, diceva lo striscione di apertura del corteo. “Pisapia, l’anno prossimo in corteo ci sarai anche tu”, urlava la folla sotto Palazzo Marino.

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