Spes contra spem, per una stagione dei diritti
Intervista a Dario Vese di Domenico Naso pubblicato su www.fareitalia.com
È giovane, Dario Vese. E a vederlo sembra un ragazzo come gli altri. Non diresti mai che, nonostante la giovane età, è già membro del comitato direttivo di Certi Diritti, l’associazione radicale che, con la consueta terminologia complicata di via di Torre Argentina, si autodefinisce un “Centro di iniziativa politica nonviolenta, giuridica e di studio per la promozione e la tutela dei diritti civili, per la responsabilità e la libertà sessuale delle persone”. L’inganno dell’apparenza svanisce non appena Dario inizia a snocciolare con competenza e meticolosità dati, proposte di legge, fatti e misfatti di un’Italia che ancora non riesce a scrollarsi di dosso, nel 2011, il marchio infame dell’omofobia. Ma Dario è ottimista, nonostante tutto. E per cambiare le cose spera nell’Europa.
È di un paio di giorni fa l’ultimo episodio omofobico nel nostro paese: a Brindisi è stata negata la patente a un ragazzo gay per “disturbo dell’identità sessuale”. A raccontarlo all’estero ci ridono in faccia, eppure la situazione di casa nostra è questa. Davvero l’Italia è così indietro sulla lotta all’omofobia?
L’Italia è indietro. E lo è anche sulla lotta all’omofobia. La vicenda del ragazzo di Brindisi è solo uno degli episodi delle tante aggressioni fisiche e verbali, private e pubbliche, che le persone LGBT sono costrette a subire in questo Paese. L’aggressione di Paola Concia, a seguire i Giovanardi, i Buttiglione e, da non credere, 2.280 euro di ammenda a due ragazzi per essersi baciati davanti al Colosseo nel luglio 2007, per il giudice contrariamente “alla pubblica decenza”. Tutto questo alle porte del 17 maggio: giornata mondiale contro l’omofobia. Le celebrazioni governative in quel giorno? Quelle sì che faranno ridere.
È impossibile che ci sia una lotta all’omofobia se non c’è una reale uguaglianza dei diritti. La classe politica dovrebbe capire che fino a quando rimane indifferente, ponendo anche veti e offese, nei confronti di proposte legislative, che consentirebbero alle persone lesbiche e omosessuali di vedersi riconosciuti diritti e cittadinanza, non fa altro che alimentare pregiudizio e odio che spesso diventano anche violenza.
Eppure, nonostante i rischi che quotidianamente corrono gli omosessuali, il progetto di legge sull’omofobia è fermo in Parlamento. A che punto stiamo? E soprattutto, facciamo i nomi: quali partiti stanno ostacolando l’iter legislativo?
La calendarizzazione è per il 23 maggio e la proposta di legge è dell’onorevole Concia. La Camera dei Deputati quanto meno sarà obbligata a discuterne dopo ormai quasi 1000 giorni dalla prima proposta.
In verità la pdl Concia, l’estensione della legge Mancino e quant’altro sono ottimi strumenti, molto utili per il loro grande significato politico. Anche simbolico. E di questi tempi…
È bene però non illudersi su un’eliminazione dell’omofobia solo per un incremento delle pene. L’unica legge che può avere una qualche efficacia è quella approvata dalla Regione Liguria un paio di anni fa, presentata come proposta di legge anche alla Regione Lazio dai consiglieri della Lista Bonino-Pannella. Il contenuto della proposta è di grande efficacia sul piano sociale, educativo, assistenziale e della prevenzione. Perché è alla radice che bisogna agire. Il Governo, peraltro, si era opposto alla Legge Regionale n.52 del 2009 approvata dalla Liguria “perché la legge eccede dalle competenze regionali, perché solo lo Stato può decidere in materia di diritto civile”. Il tutto puntualmente respinto dalla Corte Costituzionale. Oltre alle offese, anche i veti senza alcun fondamento giuridico.
Il ministro Carfagna ha preso posizioni diverse e a volte contrastanti in questi tre anni di governo. Come giudichi il suo operato sul tema dei diritti civili delle persone omosessuali? Cosa ha fatto e cosa non ha voluto o potuto fare?
La Ministra non ha presentato, contrariamente a quanto promesso, una proposta di legge governativa contro l’omofobia e la transfobia. Detto questo, lei è stata l’unica che ha lanciato una campagna ad hoc contro l’omofobia che tra l’altro, a breve, riparte. Insomma, anche se politicamente non condivido alcune posizioni proibizioniste, su tutte quella sulla prostituzione, va però riconosciuto un forte impegno anche tramite l’Unar, che dipende dal suo ministero e che sta facendo un importante lavoro in tutta Italia per monitorare la situazione sulle discriminazioni per intervenire laddove è necessario. Lo scorso anno quando siamo stati da Napolitano, per il 17 maggio, lei stessa ha ammesso di avere avuto in passato dei pregiudizi e di averli ora del tutto superati, grazie ad una maggiore conoscenza dei problemi. Infatti, basterebbe poco: dal politico al semplice cittadino dovrebbe valere l’einaudiano “conoscere per deliberare”, altrimenti parliamo del nulla.
Qualcuno ci suggerisce amaramente di consolarci pensando a casi ben più gravi, come quello ugandese. Nello Stato africano, dove recentemente è stato ucciso l’attivista gay David Kato, sta per essere approvata una durissima legge “antigay”. Ci puoi dire cosa prevede e cosa possiamo fare, dall’Italia, per tentare di bloccarla?
Nessuno può consolarsi sulla morte di qualcun altro. Queste dichiarazioni dimostrano il provincialismo di certi politici che pensano ancora secondo vecchi schemi ottocenteschi. Le rivoluzioni di questi mesi avrebbero già dovuto dimostrare anche agli scettici più ambiziosi che i diritti umani sono diritti di tutti, nessuno escluso, e che le libertà si difendono in prima persona. In Uganda il Parlamento stava per approvare il provvedimento che prevedeva la pena di morte per chi avesse commesso il reato di omosessualità. Per ora, tutto è finito. Il Parlamento, nella sua ultima seduta prima di nuove elezioni, non lo ha votato. Tutto è finito si fa per dire: nel codice penale, art. 145, gli atti omosessuali continuano ad essere gravemente perseguiti. E l’Uganda non è la sola nell’Africa subsahariana.
So che avete scritto, insieme ad Arcigay e Nessuno tocchi Caino, al ministro Frattini e al presidente Napolitano. Avete ricevuto risposta?
Insieme all’Associazione Luca Coscioni e a tutti i parlamentari radicali. Chiedevamo di intervenire attraverso tutti i canali diplomatici affinché venisse scongiurata l’approvazione del bill contro le persone omosessuali, frutto di propaganda e odio fondamentalista. Chiedevamo inoltre di allertare la nostra sede diplomatica a Kampala qualora esponenti della comunità lgbt ugandese avessero chiesto protezione. Alcune diplomazie occidentali, in testa gli Stati Uniti, avevano già minacciato che in caso di approvazione del testo avrebbero dato vita ad un embargo economico nei confronti dell’Uganda. Di questo è stato anche informato il Presidente ugandese Museveni nel tentativo di farlo desistere dalla firma del provvedimento. Ad ogni modo, non abbiamo ricevuto risposta. Nessuna risposta, come al solito. Infatti, a seguito dell’assassinio di David Kato Kisule, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, il Presidente del Parlamento Europeo, il Sindaco di Parigi, autorità di Governo di molti paesi di tutto il mondo occidentale hanno espresso forte condanna per il grave atto di violenza avvenuto in Uganda. In Italia, ad eccezione del Partito Radicale e di qualche altra associazione, un silenzio di indifferenza. Devastante.
Certi Diritti è molto impegnata nella causa ugandese, già prima dell’uccisione di David Kato. Ci vuoi ricordare chi era e cosa ha fatto di così grave per meritare la morte?
Nell’ottobre 2010 la rivista ugandese Rolling Stone pubblicò in prima pagina le foto di 100 attivisti omosessuali (o presunti tali) ugandesi chiedendone l’arresto. Tra le 100 foto vi era anche quella di David Kato Kisule, l’esponente più noto del movimento. In Uganda, co
me in altri paesi africani, il clima di odio contro le persone omosessuali è alimentato dal fondamentalismo religioso dei predicatori evangelisti che trovano terreno molto fertile tra la popolazione che vive nella miseria e nella disperazione. L’Alta Corte ugandese, in un ricorso presentato dagli attivisti dell’organizzazione Smug contro la rivista Rolling Stone, aveva dato ragione agli attivisti per i diritti delle persone lesbiche e gay condannando il giornale alla chiusura e al risarcimento dei danni causati alle persone omosessuali. Il compagno radicale David ha trascorso la propria vita da militante, combattendo per l’uguaglianza di uomini e donne, perseguitati a causa del loro orientamento sessuale fino al giorno del suo assassinio. La notizia della sua morte è arrivata al mondo il 27 gennaio scorso: giornata della memoria. Una memoria che non appartiene purtroppo al passato: esistono ancora persecuzioni, non più in virtù di un’appartenenza etnica, ma sempre più spesso in virtù di un orientamento sessuale o di un’identità di genere. Il nostro iscritto David era colpevole di essere omosessuale.
E il fondo in sua memoria che avete istituito cos’è? Come si può aiutare e come utilizzerete i soldi raccolti?
Insieme ad altre realtà lgbte, ugandesi e di tutta la comunità internazionale, ci siamo rivolti al governo ugandese per chiedere indagini imparziali sulla morte di David Kato Kisule. Indagini rigorose ed efficaci, in modo che ci siano i presupposti per un giusto processo in grado di far emergere la verità su quanto accaduto, su chi ha voluto e commesso quell’assassinio. Oggi che si è scampato il rischio della legge anti-gay, con più forza chiediamo di onorare la memoria di David, partecipando alla raccolta fondi. Invito tutti ad andare sulla sezione dedicata a David nel nostro sito www.certidiritti.it. Noi ci impegniamo a non lasciare soli i nostri compagni ugandesi e a contribuire a questa battaglia di civiltà per un processo equo e veritiero, tanto più visti i tentativi di discredito dell’ambasciatore ugandese presso la Commissione Europea, secondo il quale David sarebbe corresponsabile della sua morte.
Torniamo in Italia. Come ti spieghi l’incessante ripetersi di episodi omofobici? Cosa ci manca per diventare un paese civile?
Hannah Arendt diceva che la discriminazione è una grande arma sociale attraverso la quale si possono uccidere delle persone senza spargimento di sangue. Le coppie omosessuali hanno rilevanza costituzionale e non sono un mero fatto privato. Questo il pronunciamento della Corte Costituzionale nella sentenza 138/2010 alla quale siamo arrivati dopo una battaglia lunga e faticosa, frutto di un movimento di consapevolezza civica chiamato “Affermazione Civile”. Il Parlamento ha il dovere di legiferare in materia con una regolamentazione organica e generale, dunque non privatistica. Quello che dice la Corte Costituzionale è un vincolo per tutti. Per questo esistono le istituzioni in un paese democratico, e le istituzioni rispettano le sentenze. Questo è un altro segno della disgregazione delle nostre istituzioni. Cosa ci manca? Intanto il rispetto della legge. Poi avanti a seguire. A me hanno insegnato a camminare mettendo un passo dopo l’altro.
Quanto influiscono le dichiarazioni francamente incredibili di alcuni politici sulla costruzione di un substrato omofobico nel nostro paese?
Certi Diritti preferisce parlare di sessuofobia, perché la situazione evidentemente è molto più ampia di quanto si possa pensare. Sull’omofobia voglio essere chiaro. Di preoccupante non c’è tanto l’intellettuale Buttiglione, cacciato dalla Commissione europea per le sue posizioni clerico-fondamentaliste, o il suo compagno di sacrestia Giovanardi, ma l’ipocrisia che c’è nel distinguo tra omofobia e discriminazione. Mi spiego. Non è più consentito denunciare l’omofobia e praticare la discriminazione. A quelli che rifiutano di accordare diritti alle coppie omosessuali, va rifiutato il diritto di dire che sono determinati a lottare contro l’omofobia. Bisogna affermare chiaramente che opporsi ai diritti dei gay e delle lesbiche è già omofobia.
Ai gay italiani sarà mai permesso di essere persone normali?
Io non la metto in questi termini. L’attualità non si sceglie, si impone da sé. Ciò che si sceglie è la risposta che le si offre, l’accoglienza che le si riserva, lo spazio che le si crea. La legge deve essere in grado di recepirne le necessità di cambiamento. Se ciò non avviene entro i tempi fisiologicamente necessari, si determinano scompensi e contraddizioni, che il cittadino avverte come paradossi e privazioni di libertà. Non si tratta di gay, etero e quant’altro. Si tratta di cittadini impegnati in una lotta per la definizione legislativa di istituti idonei a dare forma agli affetti, alle esigenze e ai diritti dei cittadini, tutti, in un quadro di legalità ed eguaglianza. Noi infatti siamo un’associazione lgbte, e la E sta per etero, come tanti della nostra associazione, e sta a ricordare che la lotta contro la segregazione razziale fu di Martin Luther King e della comunità afroamericana, ma fu poi un Parlamento di bianchi ad eliminare la segregazione con la legge, con il diritto. Come ricorda Marco Pannella, spes contra spem, siate speranza voi che non avete. Se qualcuno sente su di sé o sugli altri la privazione della libertà, si mobiliti.
Ci salverà l’Europa?
Derive nazionaliste e xenofobe a parte, l’Unione europea, con i Trattati di Nizza e di Lisbona, prevede tutele antidiscriminatorie anche riguardo l’orientamento sessuale. Certi Diritti ha già denunciato alla Commissione Europea che l’attuale situazione viola i diritti delle persone lgbt in quanto gli Stati membri compiono discriminazioni basate sull’orientamento sessuale nel non riconoscere i matrimoni e le partnership registrate delle coppie dello stesso sesso celebrate negli Stati membri, in violazione del mandato politico contenuto nei Trattati Ue e nella Carta dei diritti fondamentali. Certi Diritti incoraggia quindi la Commissione europea a proporre misure di mutuo riconoscimento dei documenti ed atti (ad esempio attraverso la soppressione dell’autenticazione, della legalizzazione e della postilla, un certificato europeo di stato civile e l’utilizzo di moduli europei plurilingue) e dei loro effetti (ad esempio attraverso il riconoscimento di pieno diritto). Insomma, una nuova fase di “Affermazione Civile” perché l’assurdo è che in Europa i confini non esistono per le merci, ma esistono per i diritti. Lottiamo per una libera circolazione dell’amore.
sabato 14 maggio 2011