IL GAY PRIDE E IL PRESUNTO TRADE-OFF TRA LIBERTÀ E DIRITTI

stonewall_innLa politica dell’orgoglio

di Nicola Riva, dal Blog moraliaontheweb.com

Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, la polizia di New York irrompe allo Stonewall Inn di Christopher Steet (in pieno Greenwich Village), locale frequentato da persone omosessuali e transgender, con l’intento di effettuare l’ennesima retata.

 

Diversamente dal solito, tuttavia, gli avventori e le avventrici del locale – che la leggenda vuole particolarmente scossi/e per la morte di Judy Garland, icona gay, il cui funerale si era tenuto il giorno stesso – reagirono alle vessazioni della polizia e, inneggiando al gay power, innescarono una rivolta, che si estese rapidamente all’intero quartiere, e che si protrasse per alcuni giorni. Da allora, in molte città del mondo, il 28 giugno di ogni anno si celebra l’orgoglio gay, sebbene i cortei si tengano spesso in altre date vicine, scelte in modo da assicurare la massima affluenza.

La ricorrenza ci offre lo spunto per alcune riflessioni.

Ogni anno, in occasione del corteo del gay pride capita di imbattersi, sui giornali, in televisione e nelle discussioni quotidiane, nelle opinioni di coloro che – spesso eterosessuali e ignare/i della storia del movimento di liberazione omosessuale e transgender – ritengono che sia controproducente per gli interessi delle persone omosessuali e transessuali abbandonarsi a uno spettacolo, certamente eterogeneo, di cui risalterebbe, tuttavia, (complici mass media sensazionalistici) una componente che si presterebbe a essere giudicata trasgressiva, superficiale e inutilmente provocatoria. Difficilmente – sostengono costoro, con una punta di paternalismo e un atteggiamento che potrebbe essere definito, con espressione doppiamente appropriata, “etero-determinante” – un tale spettacolo è atto a promuovere l’accettazione sociale e il riconoscimento alle persone omosessuali e transgender degli stessi diritti di cui godono le persone eterosessuali, obiettivi con i quali chi sostiene una tale posizione identifica i principali interessi delle persone omosessuali e transgender.

Una simile posizione è sempre più diffusa anche tra persone omosessuali. E così c’è chi, omosessuale, suggerisce di partecipare al corteo del gay pride in giacca e cravatta al fine di veicolare un’immagine positiva dell’omosessualità, apparentemente inconsapevole della sconfitta che si manifesta nel gesto rivelatore di chi cede al ricatto del gruppo sociale dominante, che, in cambio di un rispetto comunque sospettoso, impone di deporre paillettes e piume di struzzo, pantaloni di pelle e stivali d’ordinanza, per indossare un ordinario cappio al collo. Più in generale, sempre più spesso si assiste al triste spettacolo di uomini omosessuali che, convinti della loro “maschilità” – ma del tutto ignari del loro maschilismo – tengono a rimarcare la loro differenza dagli uomini omosessuali “effemminati” o da chi, nato maschio, si sente a proprio agio solo nei panni di una bionda.

Un simile atteggiamento di critica di, e di presa di distanza da, alcune manifestazioni dell’identità gay e transgender tradisce un fraintendimento del significato originario del gay pride. Il gay pride non è esclusivamente né primariamente una manifestazione per la rivendicazione di accettazione e diritti. Il significato del gay pride è innanzitutto affermativo. Ciò che le persone omosessuali e transgender fanno uscendo allo scoperto e sfilando per le strade e nelle piazze cittadine è affermare il loro pieno diritto alla visibilità, a essere loro stesse/i – e a esserlo pienamente, senza dover scendere a compromessi – nello spazio pubblico: una libertà a molte/i ancora negata nella vita di tutti i giorni, in famiglia, sul lavoro e anche nei rapporti d’amicizia.

Chi descrive il gay pride come un carnevale trascura il fatto che molte delle persone che sfilano in abiti femminili in quell’occasione vorrebbero poter indossare quei panni o abiti simili – si sa, nei giorni di festa si sfoggiano gli abiti migliori – ogni giorno; in alcuni casi lo fanno, assumendosi i costi molto alti di quella scelta. Sono persone che meritano rispetto per il coraggio manifestato – di cui giustamente sono orgogliose –, non certo qualcuna/o che, nel nome dei loro presunti interessi, dica loro nuovamente di vestirsi in modo “adeguato”.

Il gay pride è innanzitutto una celebrazione delle diversità e della libertà di esprimere la propria identità nello spazio pubblico dando voce al proprio sé più autentico, dove, per dirla con uno dei personaggi più belli che Pedro Almodóvar ci ha regalato nell’ultimo decennio, “Una persona è tanto più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha sognato di sé”. Ciò spiega, tra l’altro, anche il riferimento all’orgoglio: un orgoglio che è qualcosa di più dell’assenza di vergogna, e che dipende dalla consapevolezza del coraggio che richiede alla persona omosessuale e transgender, e dei costi che per lei comporta, affermare con integrità se stessa in una società repressiva; un orgoglio che è precluso alla persona eterosessuale (che può ben essere orgogliosa di molte cose, ma non del proprio orientamento sessuale), e che non coglie chi, in buona fede, si chiede perché essere orgogliosi del proprio orientamento sessuale.

Tutto ciò rende del tutto inappropriato valutare le modalità con cui le persone omosessuali e transgender, in occasione del gay pride e in ogni altra occasione, appaiono nello spazio pubblico nei termini della loro efficacia nell’ottica dell’accesso a accettazione e diritti. La dimensione della rivendicazione politica è certamente presente nel gay pride ma è, ed è bene che resti, secondaria.

Inoltre, lungi dall’essere negli interessi delle persone omosessuali e transgender, cedere al ricatto di chi promette rispetto e accesso ai diritti in cambio di una condotta “appropriata”, è contrario a quegli interessi. L’inclusione condizionata non è vera inclusione: è un’inclusione precaria, capace di capovolgersi in esclusione alla minima trasgressione; è un’inclusione liberticida, ottenuta sacrificando la piena libertà di esprimere se stesse/i. L’argomento di chi critica alcune manifestazioni dell’identità gay e transgender suggerisce l’esistenza di un trade-off tra la libertà – la libertà di esprimersi pienamente – e l’accesso ai diritti. Si tratta di una logica a cui è importante non cedere: non c’è, e non deve esserci, incompatibilità tra la libertà di esprimersi pienamente e l’accesso ai diritti.

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