PER AMORE E PER LEGGE

Si presentano al proprio comune di residenza e chiedono di esporre le pubblicazioni di matrimonio. Sono coppie di uomini e donne dello stesso sesso, decise a percorrere la strada dei tribunali pur di
mercoledì 11 marzo 2009 , di Il Manifesto

di Mauro Ravarino

TORINO – Le hanno convocate da subito, dal primo grado di giudizio, ed è la prima volta. Non era mai successo. Due coppie di donne che dopo essersi viste rifiutare la pubblicazione di matrimonio civile dal Comune di residenza, avevano fatto ricorso al Tribunale. Sì, avete letto bene, stiamo parlando proprio di matrimonio, non di Pacs o Dico. Contratto in Italia, non all’estero. A Saluzzo, a giorni ci sarà la sentenza, e sotto la Mole, il 6 aprile, l’udienza davanti i giudici della settima sezione, quella che si occupa di diritto di famiglia. A Roma e a Firenze avevano, invece, respinto il ricorso e tanti saluti. Certo poi in quest’ultimo caso, nell’appello, la Corte fiorentina aveva disposto l’audizione delle parti dimostrando – seppur il reclamo sia stato rigettato – un interesse ad affrontare un tema delicato. In Piemonte, qualunque sarà l’esito, hanno deciso fin dall’inizio di discuterne nel merito. Formalmente, la legge non vieta le nozze tra persone dello stesso sesso, né la Costituzione, né il Codice civile. E’ vero, ci sono ordinanze fumose che si oppongono, varie interpretazioni normative e soprattutto un senso comune difficile da scalfire. Così ventidue coppie, conviventi da tempo, da Nord a Sud, hanno deciso di mettere in gioco la loro faccia, la loro storia in questa battaglia che ha valore non solo simbolico, ma giuridico e politico. Si chiama «Affermazione civile» ed è una campagna lanciata dall’associazione radicale Certi Diritti e sostenuta dalla Rete Lenford, formata da avvocati che si occupano della diffusione del rispetto dei diritti delle persone omosessuali (il nome per esteso è «Avvocatura per i diritti Lgbt») e della loro tutela. «Visto che la strada legislativa oggi pare bloccata proviamo a percorrere quella giudiziaria» spiega Michele Poté, vicepresidente della Rete e avvocato del foro di Torino, che segue il caso delle due coppie piemontesi. «Non c’è alternativa a questa via, è troppa la sudditanza alle gerarchie cattoliche» aggiunge Enzo Cucco di Certi diritti. L’obiettivo è quello di stimolare un dibattito giuridico e provocare sentenze, che possano essere d’aiuto per arrivare a una legge che tuteli davvero i diritti delle coppie di fatto: «Se dovesse servire – sottolinea Poté – ci appelleremo fino alla Corte di Strasburgo».

Dopo Torino, anche a Venezia e a Bergamo sono state convocate le parti. Ma facciamo un passo indietro. Intorno allo scorso maggio fu lanciato un appello rivolto a coppie stabili intenzionate a sposarsi, per rivendicare il diritto dei gay e delle lesbiche al matrimonio. Non tutti nel movimento saranno stati d’accordo, ma per ora vige un tacito consenso dice Cucco: «Sì è voluto per anni giocare al ribasso, perdendo costantemente, quando invece si doveva partire dal matrimonio. E noi iniziamo da lì, senza cercare contrasti con altre componenti impegnate nella lotta». E’ nata, allora, questa campagna, non di disobbedienza civile, ma di «affermazione», perché chiunque – sempre in teoria – può chiedere la pubblicazione degli atti. Gli unici «disobbedienti» sono gli avvocati che non richiedendo un onorario contrastano un loro obbligo professionale. In Italia sono ormai 44: la loro associazione l’hanno intitolata a Lenford «Steve» Harvey, un avvocato giamaicano, che difendeva i diritti delle persone sieropositive, barbaramente ucciso nel 2005 a soli 30 anni. La Rete (www.retelenford.it) è stata fondata a fine 2007 dagli avvocati Francesco Bilotta, Saveria Ricci e Antonio Rotelli e si è costituita nel gennaio dello scorso anno a Firenze con un convegno – tema le unioni tra persone dello stesso sesso – dai cui atti è stato prodotto il primo testo giuridico sulla materia. A Torino è sbarcata sul finire della scorsa primavera e oltre a Potè, hanno aderito Cesarina Manassero e Donata Brancadoro.

A Marene, paese di tremila abitanti in provincia di Cuneo, una coppia di donne si era recata in Comune per richiedere la pubblicazione degli atti di matrimonio. All’ufficio di Stato civile, dopo uno spaesamento iniziale – un copione che si è ripetuto in diverse città – hanno bocciato la loro richiesta. Utilizzando una formula che ormai è diventata classica: «E’ contraria all’ordine pubblico intero». Si appella a una circolare del ministero dell’Interno (diffusa ai tempi di Amato), che però se vai a leggerle bene, come ha scritto Francesco Bilotta (uno dei fondatori della Rete Lenford, nonché ricercatore all’Università di Udine), «fa riferimento all’ordine pubblico internazionale, relativamente alla trascrizione di matrimoni celebrati all’estero». Il sindaco della cittadina, Edoardo Pelissero, sicuro della scelta e di aver rispettato ogni norma, ha constatato che nel nostro ordinamento «non esiste nulla che contempli il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Ma, allo stesso tempo, quindi nemmeno che lo vieti. Le due donne, seguite dall’avvocato Michele Poté, hanno allora impugnato il diniego del Comune davanti al Tribunale di Saluzzo. Il 22 gennaio si è svolta l’udienza con un’inaspettata nota positiva. «Il pm – spiega il legale – a differenza di quanto è avvenuto a Firenze, non si è opposto al nostro ricorso. Ha evidenziato l’assenza di una normativa per il settore e ha fatto riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione in cui si riconoscono pari dignità e diritti a tutti. Ha, infine, sottolineato che fino a quando ci sarà una coppia discriminata, l’articolo 3 verrà violato». La decisione adesso tocca dunque ai giudici. Chissà se il comune di Marene sarà il primo a consentire il matrimonio tra omosessuali? Una piccola avanguardia in quella provincia che ai tempi della Dc era la più bianca della regione. Per ora, sugli esiti, nessuno si sbilancia. «In caso di sentenza negativa – aggiunge – ricorreremo in appello, in Cassazione ma anche in sede europea».

Cambia la società, cambiano le famiglie e il diritto italiano rimane al palo. «Mi verrebbe da dire – dice Enzo Cucco – che questo terribile ritardo sia l’estensione di un pregiudizio patologico radicato nel nostro paese. Mentre in altri stati, vedi la cattolica Spagna, hanno tradotto i cambiamenti sociali in norme giuridiche, qui non è quasi possibile parlarne». Solo qualche decennio fa, nel mondo non c’erano paesi in cui si contemplasse l’unione tra gay. Poi, in Belgio, Olanda, Spagna, Canada, Norvegia, Massachusset, Norvegia, Connecticut è successo che il diritto di matrimonio sia stato esteso alle coppie dello stesso sesso. Anche in Sud Africa, dove c’è stata una battaglia simile a quella intrapresa dalla campagna di «Affermazione civile». In Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Germania sono, invece, state introdotte soluzioni analoghe ma con un nome diverso. «E’ bastato – dicono dalla Rete Lenford – superare una convenzione linguistica e marito e moglie sono diventati semplicemente i coniugi».

Sono processi lunghi nella società, ma l’avvocatura Lgbt è pronta e ci crede all’impresa. E con l’aumento degli avvocati che partecipano alla Rete, cresce anche il numero delle coppie che si «offrono» alla causa e accolgono l’appello di Certi diritti (www.certidiritti.it). A Torino, o meglio in Piemonte, oltre alle due citate, se n’è aggiunta un’altra, sempre di donne, che ha da poco ricevuto il diniego dagli uffici comunali. E c’è, inoltre, una coppia di uomini che è intenzionata a intraprendere l’iniziativa. Tutte le persone coinvolte per ora vogliono mantenere l’anonimato, per evitare eventuali speculazioni mediatiche. Gli avvoltoi ci sono sempre e tutte le coppie sono consapevoli dell’importanza della battaglia, non vogliono fare passi falsi. Intanto, sale l’ansia per la sentenza di Saluzzo e per l’udienza di Torino, i
l 6 aprile, giorno importante per il Palagiustizia, contemporaneamente ci sarà l’udienza preliminare per la strage silenziosa dell’Eternit.

A Saluzzo, l´avvocatura dello Stato, che rappresentava il Comune di Marene, ha contestato l’istanza di ricorso sostenendo che «il matrimonio è un´istituzione tradizionale basata sulla diversità di sesso». Ma è proprio questa la tesi che gli avvocati della Rete rifiutano. L’articolo 29 della Costituzione riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. «Ecco non si parla del sesso dei coniugi» sottolinea Poté, che spesso si è occupato di diritti Lgbt, anche collaborando con Famiglia Arcobaleno, (associazione di genitori omosessuali). Neanche il Codice civile dice qualcosa e quindi ci si affida all’interpretazione di altre norme come quelle sulla filiazione. Non ne parlano – per dirla tutta – anche perché negli anni Quaranta non era prevedibile un matrimonio gay. Ma ora sì. «Sposarsi – conclude l’avvocato Potè – è un diritto per chi vuole garantire a sé e al compagno una tutela anche in caso di morte o di separazione». Il diritto di famiglia – riformato nel 1975 – ha già più volte ricevuto stimoli dalle sentenze. E se i tribunali spesso non fanno arrivare nemmeno i ricorsi in aula, a Torino un primo passo si è fatto. La strada è ancora lunga.

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