Gianni e Diego

Questa storia ha per protagonisti me, che sono sono colombiano, e Gianni, che è italiano e con il quale stiamo insieme da quasi 12 anni. Il nostro è un bel rapporto, siamo felici come sono tutte le persone che si amano. Anche con questo Paese ho un rapporto bello e intenso. Sono venuto qui per scelta e qui sono diventato linguista per amore a questa lingua. Da quando sono arrivato, nel 1999, fino a poco tempo fa ho vissuto in Italia con un permesso di studio perché ero iscritto all’università. La questione del visto si è fatta sempre più impellente, sarebbe scaduto con la fine del mio corso di dottorato e avrei dovuto trovare una soluzione entro marzo.
Una delle possibilità per risolvere il problema del visto era il matrimonio. A dire il vero, non avevamo mai preso troppo sul serio la questione della formalizzazione della nostra unione. O piuttosto, non abbiamo mai potuto prenderla troppo sul serio perché non avevamo nessuna scelta da fare. Il fatto è che pochi paesi hanno leggi sul matrimonio fra coppie dello stesso sesso e nei paesi in cui è possibile farlo generalmente è necessario essere residenti. Non ci sembrava un’alternativa  facilmente praticabile.
A  settembre dello scorso anno  abbiamo letto su  un giornale che  Idan e Emanuele  si erano sposati  fuori dall’Italia  e che a fronte della loro unione a Idan era stata rilasciata  la carta di soggiorno come familiare di cittadino europeo. Abbiamo scoperto anche che esistevano altre coppie  supportate da Certi Diritti che avevano intrapreso lo stesso percorso .
In quel momento abbiamo deciso, ci saremmo sposati e avremmo  e avremmo risolto il problema del permesso di soggiorno, il matrimonio privo di diritti non ha alcun senso  è un auto senza benzina.
Non sono molti i   paesi o  città che consentono il matrimonio, oltre che di coppie omosessuali, anche di coppie non residenti. Buenos Aires è stata la prima destinazione a cui abbiamo pensato   sia perché abbiamo dei carissimi amici che vivono là, sia perché  la cerimonia sarebbe stata celebrata in spagnolo, sia per la stagione estiva che avremmo trovato in quel periodo.
L’idea è stata messa ben presto da parte soprattutto dopo il nostro primo contatto con l’associazione. Gabriella ci ha consigliato di scegliere una città europea, perché è ormai terreno battuto e in questo modo potevamo avere un appiglio alla legge  comunitaria sul diritto alla libera circolazione dei cittadini.
Pertanto dal sognare l’estate argentina abbiamo dirottato i nostri sogni verso l’inverno norvegese. Abbiamo dunque iniziato le pratiche. Adesso mi sembra che, tutto sommato, la questione dei documenti non sia stata così problematica, anche se devo ammettere che se dovessi ricostruire ogni passaggio farei molta fatica. L’iter burocratico sembra uno scoglio insormontabile la prima volta che lo osservi. Per dipiù non eravamo i primi ma pur sempre dei pionieri. Certi Diritti ci ha messo in contatto  con altre coppie nella nostra situazione e questo ha rappresentato ovviamente un aiuto prezioso.
Posso dire senz’altro che in genere è andato tutto molto bene anche se ci sono stati alcuni momenti di grande imbarazzo. In particolare ricordo il giorno in cui sono dovuto andare dal console colombiano a Firenze a chiedergli di firmare una dichiarazione di non impedimento al matrimonio attraverso la quale, in pratica, lui certificava che io non ero sposato in Colombia e che quindi potevo sposarmi all’estero. Quando ha visto il documento ha cominciato a farmi domande, naturalmente le faceva in buona fede e io devo essere sembrato molto scostante perché ho risposto a malapena con monosillabi. D’altronde temevo che se avessi detto tutto lui avrebbe potuto rifiutarsi di firmare il documento.
Dunque, timore. Adesso posso dire che è stata una sensazione che ho provato spesso, e che provo tutt’ora, in certe circostanze. Forse era un nostro pregiudizio ma abbiamo temuto che qualcuno troppo ostile avrebbe potuto metterci i bastoni tra le ruote.
La preparazione dei documenti è durata da  settembre fino alla fine di novembre. Alcuni documenti dovevo farmeli spedire dalla Colombia La disinformazione di certo non ci ha aiutato. Per esempio, avevo capito che dovevo far legalizzare il mio passaporto presso l’ambasciata colombiana a Roma e in realtà bastava un timbro del consolato norvegese a Firenze. Abbiamo fatto il giro di telefonate e email di quasi tutti gli abbinamenti fra stati e ambasciate possibili: ambasciata colombiana a Roma, ambasciata norvegese a Bogotá, consolato norvegese a Firenze, consolato colombiano a Firenze, ambasciata italiana a Oslo.  Ma abbiamo avuto anche fortuna. Una delle poche traduttrici del norvegese risiede  qui a Firenze e questo ha semplificato di molto la preparazione dei documenti.
Una volta ottenuto il nulla osta dalla Norvegia abbiamo scelto la prima data disponibile per fissare il giorno del matrimonio: lunedì 7 gennaio 2013. Il viaggio è stato programmato in poco tempo. Abbiamo comprato i biglietti aerei poco prima di Natale.  Siamo  partiti insieme a Simona e Riccardo, nostri amici e i nostri testimoni  e Lucrezia, la sorella di Gianni che si è aggiunta alla fine, inaspettatamente.  La loro presenza è stata davvero preziosa.
Siamo arrivati a Oslo con molta emozione ma con un velo di malinconia. Non è assurdo che un Paese ripudi i propri figli? Costringere le persone a emigrare per rivendicare un diritto è quantomeno incivile.
Oslo ci ha accolto con la sua luce fioca  e una temperatura non così rigida come temevamo. Ma soprattutto ci ha accolto. Ci ha accolto con leggi che hanno permesso a noi sconosciuti, di celebrare la nostra unione. Ci ha accolto con il volto sorridente della giudice  B.Blomstrand che ha officiato la cerimonia  presso la Court House. È stato soprattutto grazie a lei che la cerimonia ha avuto la solennità  che si confà ad un evento di questo tipo.  Una cerimonia  che è durata poco più di 15 minuti e che ci ha regalato emozioni veramente  inaspettate.
Abbiamo fatto tutto in sordina, adesso penso con pudore che l’abbiamo fatto quasi con vergogna. Per rispettare la sensibilità dei nostri parenti, ci siamo detti. L’abbiamo detto alle nostre madri ed entrambe ci hanno fatto capire che era meglio non parlarne troppo. Perché questa società non è ancora pronta, ha detto la mia; perché per quanto mi sforzi di essere moderna non ci riesco, ha detto la mamma di Gianni. Non le biasimo, non ci riesco. Io che ho sempre provato molto pudore, le comprendo benissimo. Tuttavia, il confronto con il matrimonio dei nostri fratelli e sorelle  non smette di infastidirmi. Non che abbiano fatto festeggiamenti esagerati ma in tutti i casi è sempre stato un motivo da esibire, non di certo da nascondere.  Non per la cerimonia, non l’ho mai desiderata. Non posso dire che da piccolo ero consapevole che non avrei sposato una donna, ma credo di non essermi mai immaginato davanti al giudice e quanto meno davanti al prete. Forse mi ero abituato a pensare che non mi sarei sposato.
Non vorrei che il retrogusto di queste linee fosse amaro anche se in fondo senz’altro lo è. Vorrei invece che queste parole lasciassero a chi le legge una bella sensazione. Io e Gianni siamo felici, di felicità vera. Per ora abbiamo raggiunto un traguardo: il nostro rapporto è stato riconosciuto ai fini del mio soggiorno in Italia. Non è molto, lo sappiamo, ma è sicuro. Abbiamo dato, insieme a tante altre coppie, un piccolo passo che porterà al cambiamento della legislazione e delle pratiche sociali. Le cose stanno cambiando, poco ma con forza.

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